E le paure…

1234185_10202218443447006_306272462_nDa piccola tenevo le mie paure fuori dalla porta, credendo che una volta fuori sarebbero sparite. Pensavo che se fossero entrate mi avrebbero potuto distruggere. Ero ossessionata dall’idea di tenere nascosti i miei timori  sotto il tappeto, e quello che provavo. Sentire il dolore era una debolezza, una fragilità che non volevo gestire. Così per anni le ho nascoste. Ho fatto finta che tutto andasse come doveva andare, che il dolore non appartenesse alla mia vita.

Poi un giorno è cambiato tutto. Tutta la sofferenza covata per anni è esplosa. Ero in auto, di ritorno da Reggio, in uno dei giorni più tristi per alcuni amici. E lì, in quel momento quando il dolore mi ha tolto l’ossigeno, avrei voluto spegnare i miei sentimenti, passare la giornata, credendo che il giorno successivo sarebbe andata meglio. Ma questo succede soltanto nei film. Perché quel giorno in cui avrei voluto non sentire nulla, ho sentito tutto. Un dolore sordo, capace di togliere il respiro e strizzare lo stomaco. E io la regina delle fughe sono caduta in quella sabbia mobile che era il dolore. La sensazione di immobilità e la mancanza di respiro hanno preso il sopravvento, quando tutto quello che avrei voluto fare sarebbe stato dimenticare.

analisi manu7007Così sono scappata dal dolore, con la cucina, il lavoro e le pulizie. Ero quasi riuscita a scappare così lontano da non capire dove iniziassi io e finisse il senso di vuoto. Ma un giorno tutto è cambiato.  Ed è stato in quel momento che ho deciso di dare sfogo alle paure. Il dolore è un bastardo, se da una parte ti mette davanti al vuoto e all’assenza, dall’altra aiuta a capire. Dove si vuole andare e cosa si vuole fare. Il dolore è uno strumento che può essere letale se non usato bene, ma è anche una valvola di sfogo capace di fare capire. Per me è stato questo. Paradossalmente grazie al dolore mi sono aperta. Ho acquistato la mia dimensione umana, così da cyborg mi sono trasformata in una persona fragile. E ho capito che la fragilità non è un male, anzi è un bene. Perché permette di entrare in contatto con le paure viscerali, quelle paure dalle quali sono sempre scappata. Così come sono sempre fuggita dall’idea di responsabilità e impegno.

analisi manu7008Oggi per quanto il dolore si affacci nella mia vita, e con lui anche il vuoto e l’assenza, sto imparando a fidarmi di me stessa e delle persone che mi stanno vicino. Sto imparando ad affidarmi a loro, perché l’indipendenza è nulla se non ci si affida nei momenti bui a qualcuno. È vero sono capace di sbrigarmela da sola, ma è giusto che condivida il mio mondo con la persona con cui condivido cucina, casa e amore. Mi sono concessa la possibilità di abbassare completamente le barriere e di rimanere.

Come molte donne, ho cercato con tutta me stessa di non perdermi in un rapporto. Mi dicevo che potevo stare senza di loro, il che è vero, e vivevo in questa convinzione. Oggi ho capito che posso ancora farlo, la mia vita non si ferma se non sono con il mio compagno, ma il punto è che non voglio farlo. Ho capito che il mio attaccamento alla libertà mi stava facendo sentire molto sola. Mi sono comportata come se fossi single, come se dovessi cavarmela da sola. Ero lì, il mio partner era pronto a darmi ciò che volevo, ma io non glielo consentivo. Non lo lasciavo entrare, neanche quando le sabbie mobili mi imprigionavano.

analisi manu7006Temevo che  se avessi iniziato a contare su Gabro per ogni cosa, avrei perso la mia indipendenza e sarei rimasta ferita. Forse i retaggi culturali, o forse la visione delle esperienze altrui, ero convinca che se mi fossi affidata a una persona, avrei perso la mia libertà. E mentre rifuggivo a questa idea pensavo che non avrei mai voluto farlo, perché non avrei mai voluto dipendere da nessuno, figuriamoci da un uomo. Credevo che sarei rimasta fregata.

Non consideravo tuttavia l’idea che affidarsi a una persona potesse far crescere. Non solo il rapporto, ma anche la considerazione di se stessi. La forza non dipende dalla capacità di sbrigare tutto da soli, ma dall’idea di lasciare che qualcuno si prenda cura di noi. Ho smesso di appigliarmi alla scusa di non voler perdere me stessa, per giustificare la mia volontà di “cavarmela da sola”. E l’ho lasciato entrare. Quando si lascia che un uomo si prenda cura di noi (che ci aiuti ad aprire un barattolo, che ci apra la porta, che ci paghi la cena) non significa che siamo dipendenti da lui. Facciamo solo in modo che si prenda cura di noi. Chiedere un sostegno anche nelle piccole cose aiuta a domare l’impulso di tagliare fuori il nostro uomo e ci rende più disposte a lasciarlo entrare nella nostra vita. E adesso dopo dieci mesi ne sono felice. Ogni mattina quando mi sveglio accanto a Gabro, lo guardo e sorrido. Penso che ho perso tempo e che ogni giorno mi sento amata e al sicuro.

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