Tra i mostri e i miti del Parco di Bomarzo

Sono in pietra le creature dei miti che “abitano” il bosco sacro di Bomarzo. Qui in piena Tuscia, le leggende si sono fatte materia e, ricoperte dal muschio, proteggono dopo secoli il mistero che avvolge la costruzione dell’area.

Sì, perché le architetture impossibili o le statue, che celano enigmi di difficile risoluzione, per alcuni studiosi rappresenterebbero le tappe di un itinerario di matrice alchemica. Nel corso dei secoli sono stati numerosi i tentativi per spiegare il labirinto di simboli che abita il parco dei mostri di Bomarzo e sono diversi i simboli tipici della letteratura rinascimentale che si trovano e si rincorrono nelle opere sparse nel parco. Come i riferimenti al Canzoniere di Francesco Petrarca, dell’Orlando furioso di Ludovico Ariosto e dei poemi Amadigi e Floridante di Bernardo Tasso.

Tuttavia gli schemi interpretativi del parco sono ancora avvolti nel mistero, tanto che il fil rouge che unisce tutte le sculture e i motivi dell’area sono ancora sconosciuti. Qui in provincia di Viterbo convivono tra i boschi di pini e latifoglie statue mitologiche ed enigmatiche, simboli alchemici e mostri di ogni genere insieme ad architetture impossibili, come la casa storta. E tra gli alberi emerge il tempio funebre che, caratterizzato da cupola modellata sulla base di quella di Santa Maria del Fiore a Firenze, potrebbe ospitare le spoglie di Giulia Farnese, cui è dedicato l’intero parco. Ed è proprio la dedica a Farnese che fa emergere a tesi di matrice alchemica, tesi che si sposerebbe perfettamente con l’iscrizione dedicata a Farnese “sol per sfogare il core, presente nel Sacro Bosco”.

La costruzione si deve all’architetto e antiquario Pirro Ligorio che, su commissione del principe Pier Francesco Orsini (detto Vicino Orsini),  ha progettato il parco e ha coordinato la realizzazione delle figure mitologiche rappresentate in stile grotesque.

Nel 1585, dopo la morte dell’ultimo degli Orsini, l’area è stata abbandonata per poi essere restaurata. Ma è solo la seconda metà del Novecento quando Giancarlo e Tina Severi Bettini, che  sono sepolti nel tempietto interno al parco, hanno deciso di mettere mani all’area e al parco.

In questo stesso periodo, anzi più precisamente nel 1948, Salvador Dalí dopo una visita nel parco se ne innamora e viene ritratto in pose originali tra i principali monumenti. E se da una parte Michelangelo Antonioni ha dedicato 10 minuti di documenti al parco, Lina Wertmuller ha girato al suo interno qualche scena di un piccolo gioiello della pellicola Sotto sotto strapazzato da anomala passione.

Il parco

L’area, che si estende su una superficie di circa 3 ettari, custodisce sculture dedicate a personaggi e animali mitologici, edifici che riprendono il mondo classico ignorando volutamente le regole prospettiche o estetiche. Il motivo? Confondere il visitatore.

Le sculture, realizzate in basalto, “conservano” iscrizioni enigmatiche ancora avvolte nel mistero.  E se l’ingresso è caratterizzato dalla presenza di due Sfingi che accolgono i visitatori con le loro iscrizioni di benvenuto, poco distante lo sguardo si perde davanti la maschera raffigurante Proteo, oppure Glauco, che rimanda all’universo degli Orsini.

Tuttavia la statua più famosa del parco è sicuramente l’Orco: un enorme volto ritratto con la bocca aperta. Al suo interno si trova una camera che, scavata nel tufo, offre ristoro con le panchine poste al suo interno. Qui le voci rimbalzano sulle pareti tanto da creare un’eco spaventosa.

È invece la statua più grande del parco quella che raffigura i giganti Ercole e Caco, mentrelo spazio poco più avanti è occupato dal gruppo della Tartaruga e della Balena. Questa scultura  raffigura una grande tartaruga, sul cui guscio si trova la statua di Nike, e una grossa balena che emerge dalla terra.

È invece dedicata  a Pegaso la prima fontana del parco. Il cavallo, simbolo di passionalità e impetuosità, prepara i visitatori all’Albero-statua, ovvero alla scultura di un tronco di larice scolpito su un masso. È sempre ambientata nell’acqua la scultura che rappresenta Venere nel suo Ninfeo. La grande vasca, che richiama i ninfei di età romana, “ospita” le statue delle tre Grazie e delle tre ninfe, mentre la parete è occupata dalla statua di Venere che, poggiata su una grande conchiglia, sembra volersi perdere tra i delfini danzanti dell’altro gioco d’acqua posto poco distante.  

A pochi metri dal ninfeo si trova la riproduzione di un’esedra del palcoscenico, si tratta del “Teatro” del parco di Bomarzo che sembra voler preparare i visitatori all’architettura più sorprendente dell’intera area: la casa pendente. L’edificio è stato costruito su un masso inclinato, ed è quindi  pendente. Ma la peculiarità di questa architettura risiede nella concezione degli ambienti interni che conservano una pendenza irregolare, tanto da causare smarrimento in chi oltrepassa la porte di ingresso.

Il parco ospita inoltre un piazzare scandito da vasi in pietra che, ornati da iscrizioni ormai illeggibili, conducono i visitatori verso la statua di Nettuno. Il dio dei mari è adagiato su un letto di acqua con un delfino tra le braccia, mentre a poca distanza una ninfa dorme  poggiata su un braccio.

La mitologia trova spazio anche nella rappresentazione di Proserpina che è raffigurata come una grande donna con un spighe sul capo e nelle mani una fiaccola e la Cornucopia; molto vicino si trova un maestoso elefante sulla cui schiena si trova una grossa torre. L’animale con la proboscide regge un legionario romano.

Nelle vicinanze si trova inoltre un drago, anzi la rappresentazione di una viverna, figura mitologica che lotta contro tre animali. C’è un’altra rappresentazione mitologica nel bosco sacro, si tratta della regina dell’Ade rappresentata a braccia aperte. A pochi passi si trova Cerbero, il cane dotato di tre teste a guardia dell’Oltretomba. Alle spalle si trova il piazzale delle pigne, delimitato da sculture che riprendono il Pignone assieme ad altre a forma di ghianda.

Proprio di fronte sono state collocate le statue di Echidna, rappresentata come una donna con due code di serpente al posto delle gambe; la Furia come una donna con coda e ali di drago. Tra di loro sono accucciati due leoni, figli di Echidna e presenti nello stemma di Viterbo.

È leggermente isolato rispetto al percorso principale del Parco il Tempio. L’opera, costruita dopo 20 anni dall’edificazione dell’intera area, riprende forme architettoniche di diverse epoche.

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