Appena spento il microfono ho avuto una fitta al cuore. Come se qualcuno avesse deciso di agguantare il mio cuore e strizzarlo, quasi fosse una spugna per lavare i piatti.
Ed è stato in quel momento che ho capito. Ho capito che era l’ultima diretta da quella stanza arancione e gialla e con il tavolo verde. Le ultime parole dette al microfono da via Cappuccini per accompagnare virtualmente gli ascoltatori in uno dei mieti tanti viaggi “mentali”. E il mio cuore si è stretto. È diventato piccolo, piccolo. Ho quindi deciso di rimanere un po’ con lei. Di assaporare gli ultimi momenti di questa convivenza. Ho girato per le stanze piene di scatoli per il trasloco e ho sentito il suo odore, il suo silenzio. Ho assaporato ogni parte della sua “essenza”. Con gli occhi lucidi e la nostalgia a fare da padrona.
Ricordo ancora quando la mia piccola bambina è nata. Ricordo come ero vestita, cosa ho fatto e cosa ho detto. I ricordi segnano, marchiano. Come se fosse la loro unica funzione “vitale”. Ti ricordano quello che hai fatto, da dove sei partita e dove sei arrivata. Ti ricordano che sei la somma delle scelte fatte nel corso della tua vita, e delle scelte che hai deciso di non intraprendere. E Radio Barrio è stata una delle scelte che mi ha permesso di “sopravvivere”. Grazie a lei ho superato un periodo difficile e complicato. Mi sono dedicata anima e corpo alla sua crescita, a darle le basi per poter diventare forte e andare avanti. L’ho vista crescere, ed è stato bellissimo. Per me Radio Barrio è una figlia. Da proteggere e coccolare. Una figlia che ha saputo fare uscire il meglio da tutti noi. La piccolina ha due mamme e tre papà. I fondatori. È riuscita a creare tensioni, come spesso accade in una grande famiglia, ma a regalare anche tante gioie.

È li che ho incrociato persone che mi hanno sfiorata come una leggera brezza, senza tuttavia lasciare veramente il segno, è lì che ho rincontrato gli amici di una vita, quelli che solitamente si incontrano per poi non lasciarli mai andare. Perché sono il frutto della tua essenza. Perché sono il faro verso cui ti volti per trovare la strada quando ti senti perso. È lì che ho conosciuto tante persone e dove tante altre si sono affacciate per poi lasciare il passo alle loro personalità smodate. Ed è in via Cappuccini che i rapporti umani si sono rinsaldati, quelli con la compagna storica dei programmi e con altre persone entrate quasi per caso. Ma è proprio lì, tra quei muri arancioni e gialli che sono cambiata. Ho affrontato i demoni interiori e riscoperto parti che non avrei mai immaginato di poter fare uscire.

Ecco perché fare l’ultima trasmissione da via Cappuccini è stata speciale. Nonostante il tema scelto per la puntata (la Stoccolma di Stieg Larsson), nonostante la solitudine tra quelle quattro mura. Ma questo mi ha permesso di rimanere sola con lei. Come la nostalgia di un genitore quando il figlio va all’università. Il ragazzo sembra sempre troppo piccolo, debole o inesperto. Ed è proprio in quel frangente che riesce a dimostrare di essere cresciuto. Un po’ come quello che è successo ieri sera. La piccola Radio Barrio è cresciuta. Può camminare da sola. Può trasferirsi e lasciare la casa dell’infanzia.
Eppure quando ho spento la luce della sede e infilato le chiavi nella porta, ho capito una cosa importante. Ho capito che io non sono io la madre. Ma la figlia. Perché Radio Barrio mi ha consolata, mi ha protetta e capita. Solo come una mamma può fare. E io lo so.
Le foto sono di Giuliano Monterosso.
Si è ripreso il mio collegamento a wordpress :-)
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Alè! Si è messo a posto da solo?
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yes, e io ci capisco sempre meno ;-)
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