Da piccola amavo leggere le fiabe, La bella addormentata, Cenerentola e Biancaneve. Ma la mia storia preferita era Alice nel paese delle meraviglie, il racconto che amo leggere e rileggere anche a 33 anni. Sarà per la vicenda della piccola sognatrice che tra le braccia di Morfeo incontra il Brucaliffo, l’uomo uovo, la famiglia di ceramica e lo stregatto, o sarà per le immagini del film Disney e della danza dei fiori. O forse per le similitudini con Alice, lei giovane donna, con la testa tra le nuvole e una grande immaginazione.
Eppure la storia che amavo sentire era quella di Rambo e di mio padre in Vietnam. A memoria non ricordo mia madre seduta sul mio letto intenta a leggere le storie di principi e principesse. Ma ricordo mio padre in una sera autunnale che narrava storie di guerra. Lui, diceva, era stato in Vietnam a combattere con Rambo, nel fango e mimetizzato con gli alberi. Da quel momento in poi ho guardato e riguardato i film di Rambo, solo per intravedere mio padre nascosto tra le foglie delle piante e con il viso colorato.
Proprio allora è nato il mio amore per le storie. Delle principesse addormentate capaci di svegliarsi solo con il bacio dell’amore eterno, delle ragazze indipendenti che si barcamenano tra le difficoltà economiche nell’Ameria post Secessione. E ancora l’amore per gli investigatori capaci di concentrarsi soltanto suonando un violino. Ed è stato allora che ho iniziato a leggere. Tanto, tantissimo. Anche più libri alla volta. Ho un grande vizio quando leggo: inizio diversi libri perché, a seconda del momento, voglio scegliere quello più adatto.
In questi giorni sul comodino c’è “Il paese dei coppoloni” di Vinicio Capossela, Easter Parade di Richard Yeats, e ancora Le ragazze di Schanghai e Memorie di una Geisha. In base all’umore leggo una pagina, un capitolo, una frase. In questo modo però “diluisco” la storia, la spezzo. Lascio aperti troppi capitoli. Quello che tuttavia non succede nella vita reale. Perché se nella lettura non amo interrompere nulla, nella vita privata lascio la zavorra alle mie spalle. Non temo la finta paura del fallimento o il lasciare dietro alle mie spalle quello che non funziona. Sono un accumulo dipendente delle storie, dei romanzi, delle parole, ma non degli episodi reali. Perché quando arrivo al punto di saturazione l’unica cosa che riesco a fare è scaricare la zavorra. Conoscenze superficiali che non arricchiscono, amicizie finte che succhiano energie, lavori noiosi e posti diventanti troppo autoreferenziali.
Della Calabria ho portato all’ombra della Madonnina, il mare, il profumo del mare, il sapore della sardella e di tutto quello che mi ricorda la mia regione. La gioia di vivere nonostante le difficoltà e la forza nata dalle stesse difficoltà. Perché quando si nasce in luoghi che non offrono molto se non la grande accoglienza del popolo, si impara a “sopravvivere” e a crescere. Ho portato con me l’affetto per le persone a cui tengo, e la speranza di salutarli come si deve, la bellezza dei posti e il calore della casa.
Ma ho deciso di non portare dietro il vittimismo tipico di una piccola parte della Calabria. Il vittimismo che, misto a senso di impotenza fittizia, nasce dalla mancanza di palle di una parte di popolo, cresciuto a pane, lamentele e assistenzialismo. Le stesse persone che entrano nel circuito del “se” per poi cadere nell’immobilità assoluta. Ho lasciato indietro le marchette e le leccate di culo fatte su mezzi di comunicazione solo per avere un piccolo spazio, ho abbandonato i finti attivisti il cui unico scopo è quello di mettersi in mostra, senza tuttavia capire l’attività che stanno svolgendo. Ho lasciato alle mie spalle i discorsi non fatti e le cose non dette solo per non “ferire” e non “andare contro” lo stato delle cose. Ho lasciato indietro le polemiche e le critiche inutili, quelle portate avanti dalle persone poi cadute nel giro del presenzialismo. A tutti i costi. Quelle persone che non hanno visto la nascita di movimenti e situazioni, perché troppo impegnate a criticarli, per poi prendere la paternità delle cose. “E’ la coerenza, bellezza”, direbbe Humphrey Bogart, se fosse protagonista di un film girato a Crotone e se trattasse temi dedicati ai valori e alla morale.
E allora a mille chilometri di distanza non ho nostalgia delle guerre intestine e delle lamentele, ma di quella parte buona del sud. Un sud che accoglie e che fa sentire a casa. Un Sud che viaggia più lentamente, ma che fa amare velocemente i luoghi, i profumi e i gusti. E le persone.