E la cucina…

11152696_10206722684650221_1634253219874379884_nNon c’è posto al mondo che io ami più della cucina. Come la protagonista di Kitchen, libro di Banana Yoshimoto, amo entrare nel cuore della casa, nel luogo in cui si fa da mangiare. Mi fa stare bene. Perché amo sentire il rumore del fornello acceso, il profumo del sugo in padella, l’aroma del caffè che sta per uscire. Non importa dove si trovi o come sia fatta, l’importante è che la cucina sia un luogo accogliente e vissuto in cui si respira l’aria di cibo. Ecco perché quando entro in una casa, oltre alle librerie davanti le quali perdo la misura del tempo, amo vedere la cucina e immergermi nella sua atmosfera.

10250788_10203833418580375_1188889489_nSe devo dirla tutta preferisco le cucine sporche, quelle con le mattonelle sporche di sugo che richiamano immediatamente l’idea di cucinare. Per qualcuno. Amo le cucine ricche di piatti e di cibo, di cestini pieni di patate e verdure, con gli strofinacci bagnati che testimoniano il passaggio di chi ha preparato del cibo da destinare alle persone cui vuole bene.

Eppure un tempo non era così. Non amavo cucinare e odiavo la cucina. La evitavo come la peste, quasi potesse fagocitarmi nell’idea di dover cucinare per garantire la sopravvivenza altrui. In quel periodo non sapevo neanche fare un thè, figuriamoci un piatto di pasta. Eppure sono sempre vissuta osservando gli altri cucinare, rimanevo incantata quando mia madre riusciva a fare un intero pranzo in poco tempo. Quando con pochi ingredienti riusciva a nutrire sette persone. E rimanevo assorbita nei movimenti per la preparazione del ragù, del suo modo deciso di tagliare le verdure e preparare il soffritto. Ma allora, quando vedevo mia madre cucinare evitavo di trovarmi da sola davanti i fornelli. All’università è stato facile, mia sorella ha sempre cucinato bene ed è stata lei a nutrirmi per tanto tempo. Fino alla sua partenza per Roma, quando in casa con Flavio ho iniziato a sperimentare. Ma il periodo della sperimentazione con la S maiuscola è iniziato dopo, quando la cucina è diventata la mia salvezza, la mia terapia. In quel periodo in cui avevo un rapporto strano con il cibo ho iniziato a distinguere tra la preparazione del cibo e il cucinare. Ho capito che la cucina era finalizzata alle persone a cui cucinavo. E ho cucinato. Quanto ho cucinato. Amavo perdere tempo davanti i fornelli e sperimentare ricette. Amavo dedicarmi al cibo, invece di aprire i libri per studiare e il computer per lavorare.

1377331_10202388616221219_2085240330_nEd è allora che il mio rapporto con il cibo è cambiato. Quando mescolavo la sangria con le mani, quando facevo la pasta sfoglia e immergevo le mani nel piccolo panetto. Stessa cosa per le polpette, amo girarle e sentire l’uovo sulle dita. Amo sporcarmi le mani e metterle letteralmente in pasta, per sentire la materia che si forma. La cucina in fondo rivela in una persona il suo rapporto con la terra. Ci mette allo scoperto. Chi ama il cibo ama la carne. E chi è capace di passare tre ore a palpare, tritare, impastare, pelare, grattugiare, affettare, per un piacere così breve come il pasto, è capace di dare tutto per tutto per quello che ama. E se prima non amavo condividere lo spazio della cucina con gli altri, adesso permetto a tutti di cucinare. In un “esperimento” collettivo di cucina condivisa. Amo vedere la cucina piena di persone che sbucciano, lavano, girano il sugo. Perchè la cucina è condivisione.

1381996_10202388466057465_1478907820_nL’idea della condivisione, oggi nell’era del food porn, del comfort food, dell’instafood e dei food lovers, ancora rimane. Adoro cucinare per gli altri, coccolarli con gli odori e i profumi. Attraverso il loro nutrimento io riesco a nutrire il mio spirito. Cucino per le persone non con l’intento di creare da subito piatti perfetti, ma con l’idea di condividere un piatto di pasta recuperando i segreti della nonna e della mamma. La cucina è per me  un modo per stare insieme e per dimostrare di voler bene a qualcuno. Perché  cucinare per qualcuno è prendere in carico la sua felicità, almeno per il tempo che passa a tavola.

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