E le sconfitte…

13401072_10209877029946882_289431939_nDa bambina credevo che la vita fosse una crociera infinita fatta di gioie e divertimento, in viaggio verso un arcobaleno. Ovviamente crescendo ho cambiato idea, e ho capito che la nave può andare verso l’arcobaleno, ma che sotto non c’è alcuna pentolaccia piena di pepite d’oro, né tanto meno Leprecauni dispettosi capaci di strappare un sorriso.

Con il tempo ho capito che se esiste una metafora da cucire alla vita, quella più consona è senza dubbio la maratona. Pensate ai maratoneti, si allenano tutti i giorni macinando chilometri, controllando il respiro e la dieta. Sanno che la preparazione è tutto, ma sanno anche che un piccolo imprevisto può portare alla “sconfitta” durante la Maratona. Può capitare che al 35 chilometro le gambe decidano di diventare di burro, ed essere quindi costretti a camminare. Specialmente se il percorso è in salita. All’inizio provano a continuare a correre, diminuendo la velocità, ma alla fine sono costretti a camminare.

13393416_10209881317974080_1937204487_nPer questi e altri imprevisti la maratona può avere finali inaspettati, il ritiro o la fine a tempi altissimi. Ma quando le gambe non vanno, quando il fiato è così corto da lasciare senza respiro forse bisogna fermarsi. Prendere un respiro e cercare di finire. Sempre se le gambe lo consentono. E se così non dovesse essere, è necessario lasciare stare, mollare.

Fin da piccoli ci hanno insegnato che mollare era un “peccato”, ci hanno fatto credere che lasciare una partita a metà è una delle peggiori sconfitte. Ci hanno indotto a sposare la teoria per cui chi molla è un perdente. E se non fosse proprio così? Penso sempre al corridore della Maratona, perché continuare a correre se i muscoli fanno male? Perché proseguire quando l’acido lattico blocca ogni singolo tendine del corpo?

13348823_10209851698993624_1198494098_nForse l’unica soluzione è una: mollare. Finire la maratona con un tempo di merda, lasciare un lavoro perché non ci soddisfa. E in questo credo che Nicolò Fabi abbia proprio ragione. Spesso vince chi molla. Vince chi molla gli ormeggi della nave, stanca ormai di rimanere ancorata nel porto; vince chi manda a quel paese un lavoro che fa fare il sangue acido. Mollare è forse la strada della serenità. Perché non c’è vittoria più importante che trovare la propria serenità. E se mollare è la chiave, allora vale la pena lasciare da parte le cose che non ci rendono felici. Come una relazione, un lavoro, una città.

Fino a qualche anno fa detestavo l’idea di mollare. Mi ero convinta che fosse la sconfitta suprema per l’orgoglio personale. Per questo non ho mai lasciato un libro a metà, ho sempre letto le pagine di scritti noiosi. Un giorno, con la Ricerca del tempo perduto di Marcel Proust ho capito che mollare la lettura sarebbe stata la mia salvezza. E da allora, ho mollato. Ho finito di lottare per le cause stupide e contro le persone stupide, tempo e fiato sprecato. Ho capito che esistono battaglie che devono essere combattute e altre per cui non vale la pena neanche parlarne.

piazza duomo galleria vittorio emanueleCosì ho iniziato a lasciare andare, il dolore, i sensi di colpa, le relazioni sbagliate e le persone che hanno cercato di tenermi ferma alla riva. Proprio come la nave ormeggiata e ormai stanca di esserlo. Ho imparato ad alleggerire la valigia, anzi lo zaino, lasciando indietro le cose non essenziali.

E ho mollato. Ma non è detto che abbia perso…

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