
Poi un giorno la mia opinione è cambiata. Grazie agli scambi culturali continui, ai confronti tra persone diverse. E oggi dopo un anno e una vita dico che amo Milano. È una città che sorprende passo dopo passo, un centro che riesce a inglobare nella movida e nelle manifestazioni. E se la città è abitata in larga parte da persone che sono arrivate dal Meridione, regna comunque una situazione particolare: quella della corsa. Non il running, ma la corsa. Perché credo che qui a Milano la gente abbia paura di perdere tempo. Vive a 300 chilometri orari e riesce a compattare tutte le parole per risparmiare tempo. Mi raccomando per strada non vi aspettate che la gente chieda permesso per passare, perché tanto è prese dal cellulare.
Se c’è una cosa che non amo di Milano è proprio questo. L’ossessione di dover usare il tempo nel modo che i milanesi pensano sia migliore. Ecco da persona del Sud lo ammetto. Amo perdere tempo, rilassarmi quando cammino per strada, anche quando devo uscire e come al solito sono in estremo ritardo. Amo lasciarmi accarezzare dagli odori e dal vento. Mentre tutto intorno a me ruota a una velocità impressionante. A volte ho la sensazione di stare in piedi al centro della giostra. Lei gira, gira, ma io invece rimango ferma ed è come se il movimento non mi riguardasse. Ecco vedendo le persone sempre di fretta che chiamano i cornetti brioches e le buste della spesa sacchetti, ho la stessa sensazione. Mi sento una specie di osservatrice privilegiata che guarda quello che accade. Ma senza Milano questo non l’avrei capito. Perché se è vero che viaggia alla velocità della luce, è anche vero che è riuscita a tirare fuori gli aspetti del Sud. Quasi per compensazione.
Ma si sa, ogni luogo ha le sue abitudini. A Crotone, per esempio, siamo soliti lamentarci di tutto quello che accade, senza avere la voglia di cambiare le cose quando ne abbiamo l’opportunità. Così come a Reggio regna l’idea di apparire e non quella di essere. Ma ognuno sa fare proprie le cose che contano, mettendo da parte le “stranezze”, o le cose che pensiamo lo siano. Per vivere nel posto in cui siamo costretti a vivere o in cui vogliamo vivere una piccola isola felice fatta delle nostre passioni e delle nostre abitudini. Come quella del pranzo della domenica. Da quando mia madre è morta, sono sincera, mi manca. Mi manca alzarmi con l’odore del sugo che sporca le piastrelle, o con il profumo delle polpette appena fritte. In una condivisione culinaria tipica delle nostre zone. Ecco perché quando sono libera amo cucinare per gli altri. Fare la pasta al forno, o le lasagne che hanno l’odore e l’idea di casa.
E di Milano non posso parlare male. Mi ha restituito l’umanità, o forse l’ha fatta uscire. Perché diciamocela tutta non sono mai stata una persona propriamente “umana”, ma qui a Milano è come se la scintilla si sia accesa. Così come la consapevolezza delle certezze e anche dell’affetto per le persone care. Certo il mio mare e la mia spiaggia dorata mi mancano, così come mi mancano le persone. Ma non mi manca il vittimismo della mia terra, così come riesco a vivere senza i compromessi che per anni ho visto palesarsi o intravisto dal buco della serratura.
Milano mi ha cambiata, ma non so dire come. So solo che la mattina mi sveglio molto presto e quando accendo la sigaretta amo vedere la città che si sveglia sotto i miei piedi. Amo sentire le risate dei bambini che entrano a scuola, e amo correre nel parco. Come se fosse solo mio. Come se concedesse soltanto a me la pace e la serenità. E poi amo i Navigli e gli aperitivi consumati vista acqua. Amo vedere la gente con il bicchiere in mano sulla Darsena in attesa della calura estiva e amo entrare nei Musei dove le opere appese alle pareti mi fanno apprezzare la bellezza del mondo. Così come adoro entrare nei locali che organizzano i concerti, sentire l’adrenalina dei musicisti e degli organizzatori che si chiedono se il posto si riempirà.
Milano è tutto questo. Una città contraddittoria dove da una parte si erge per l’ossessione della moda e delle fashion blogger, e dall’altra vive il bene comune e gli aspetti sociali. Perché in fondo la superficie appartiene soltanto a chi