
Miti e leggende si rincorrono lungo le acque del lago di Resia, da cui emerge un campanile solitario. La leggenda vuole che nelle notti invernali, quando il lago si ghiaccia, sia possibile sentire il rumore delle campane del campanile del vecchio paese di Curon. Una leggenda che si tramanda da anni nell’alta Val Venosta dove si trova uno dei posti più suggestivi dell’Alto Adige o Sudtirol.
Un mito appunto che si perde tra le montagne della Vallelunga, i comuni di Resia e Curon Venosta e i borghi Casone e Spin. Perché qui, dove oggi sorge il campanile della Chiesa romanica di Santa Caterina d’Alessandria, la storia racconta altro. Racconta della rimozione delle campane il 18 luglio del 1959, racconta dell’abbandono delle case e degli averi e delle evacuazioni delle poche famiglie che abitavano nel piccolo paese.

A Curon, cinque anni dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale, sono stati completati i lavori di una grande diga per la produzione dell’energia idroelettrica che ha unito due dei tre bacini naturali del Passo Resia: il Lago di Resia e di Curon, il mezzano. Il Lago di San Valentino alla Muta, più a sud, è rimasto invece nel suo stato originario.
L’acqua ha letteralmente inghiottito il vecchio paese e una parte del territorio di Resia. Oggi a 22 metri di profondità riposano quello che rimane dei vecchi edifici, le case, i terreni. Gli abitanti, che non volevano abbandonare il paese, hanno poi ricostruito la nuova Curon Venosta dall’altro lato del lago.
Un progetto, quello della realizzazione del bacino artificiale, nato in piena epoca fascista quando, nell’ambito di un piano per l’aumento della produzione nazionale di energia elettrica, è stata pianificata l’unione dei due bacini più a nord tramite la costruzione di una diga di terra che avrebbe portato la profondità del lago da 5 a 22 metri, sommergendo in questo modo il piccolo paese di Curon e una parte di Resia. Nel 1939 l’azienda Montecatini (successivamente Montedison) ha presentato i progetti per la costruzione della diga. La stessa diga che di lì a poco avrebbe sommerso il piccolo borgo e nella totale “ignoranza” degli abitanti. A causa infatti dell’assenza di rappresentanza politica nell’area, il compito di informare la popolazione e rilevare eventuali obiezioni è stato affidato a un commissario.
Questi è arrivato nel periodo “retto” dal sistema concordato tra Italia e Germania per risolvere la questione delle isole linguistiche tedesche in territorio italiano. Gli abitanti sono stati messi davanti a una scelta, quella cioè di diventare cittadini italiani o tedeschi. A seguito della vicenda delle “opzioni” il 10% del paese si è spopolato e i cittadini rimasti, in un periodo improntato sul processo di italianizzazione di stampo fascista, si sono trovati davanti al progetto della diga e della conseguente distruzione di Curon senza averne una piana conoscenza. Sì, perché gli avvisi scritti sono stati affissi in italiano e per appena sei giorni. Un progetto passato dunque nel silenzio generale, tanto che il commissario si è trovato nella condizione di dichiarare che non era stata avanzata alcuna obiezione.

I lavori sono partiti nel 1940, hanno subito una sospensione a seguito dello scoppio della guerra, e poi sono ripartiti grazie ai fondi svizzeri. I lavori sono stati l’inizio della fine del borgo. Dopo le prime prove di sbarramento, l’acqua è arrivata a lambire le case del borgo e ad allagare gli edifici più a valle. Prima di mettere in funzione la diga, sono stati demoliti 180 edifici, compresa la chiesa di Santa Caterina di Alessandria. Il campanile risalente al 1357 e dunque sotto la tutela dei Beni culturali è invece rimasto in piedi, e con lui il simbolo di quello che era Curon.
Oggi l’area è una meta dei ciclisti e dei cicloturisti che viaggiano lungo la Via Claudia Augusta. Si tratta di uno dei percorsi ciclistici più famosi d’Europa, che prosegue poi in direzione Merano.
Ma Curon è protagonista indiscussa dell’omonima serie Netflix e del libro Resto qui di Marco Balzano.