Clet, quando i cartelli stradali prendono vita

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Siamo sempre più invasi dalla segnaletica; lo spazio urbano fornisce una quantità di messaggi basilari e unilaterali, certamente utili, ma per me senza personalità. Vorrei che all’unilateralità del messaggio venisse sostituito il concetto di reversibilità: si aggiunge un nuovo significato alla prima, portando altri livelli di lettura”. Così l’artista Clet, all’anagrafe Clet Abraham, fornisce la spiegazione alle incursioni artistiche nelle città italiane. Sì, perché il noto scultore nato in Bretagna ha rivoluzionato il modo di fare arte inserendo adesivi sui cartelli stradali italiani e non solo. Così l’unica visione del segnale rivive con una nuova interpretazione. Con gli sticker il cartello stradale,  sempre leggibile, viene trasformato  in simpatiche opere d’arte. In una sorta ti ready made contemporaneo. L’obiettivo è quindi uno solo: andare oltre il segnale, richiamando il senso di responsabilità e il rispetto degli altri, che devono essere dentro qualsiasi persona,  e non imposti da un cartello.

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Ha fatto i suoi studi presso l’Istituto di Belle Arti di Rennes e, dopo aver esposto presso varie gallerie d’arte in Gran Bretagna, si è trasferito a Roma, dove lavora come restauratore di mobili antichi. Ha esposto in numerose gallerie romane, parigine e britanniche (Galleria Studio 99 Gallery, Le Marais a Parigi, Galerie Armel a Nantes) e in varie istituzioni culturali. Nel 2005 si è trasferito a Firenze, dove risiede ancora oggi. Le sue opere stanno vivendo un notevole successo grazie a dei collezionisti privati di Parigi, Montecarlo e New York. Molti enti privati, come la Banca Popolare del Lazio e dell’Etruria , l’Istituto Tommaso Crudeli di Udine e il Castello di Poppi gli hanno commissionato lavori proprio in seguito al prestigio acquisito. Ha partecipato inoltre a tre edizioni della mostra collettiva “Fuori Luogo” organizzata dalla Società Chiessi e Fedi nel 2008 a Palazzo Strozzi, nel 2009 a Teatro della Pergola – dove ha ottenuto il record di vendite – e nel 2010 presso la Galleria delle Carrozze di Palazzo Medici-Riccardi. Nel 2012 partecipa a TEDxBologna.

L’interesse di Clet si è focalizzato  sulla realizzazione d’interventi urbani a Firenze, Bologna, Roma, Torino, Milano, Napoli, Lucca, Palermo, Genova, Terni, Londra, Valencia, Sassari, Perugia, Douarnenez, Quimper, Audierne, Parigi, Prato, Livorno, Parma, Pistoia, Cascina e Dicomano dove ha applicato degli sticker sui cartelli della segnaletica stradale, rispettandone sempre la leggibilità, ma trasformandoli in simpatiche opere d’arte.

Clet, realizza un ready-made, usa cioè un normalissimo cartello stradale come base per un’opera d’arte. Sul cartello applica stickers che lo fanno diventare  un’opera curiosa e geniale, proprio come il suo creatore. In pieno stile dadaista.  Come a Milano, dove l’artista bretone ha lavorato in particolar modo sui cartelli di divieto di accesso. Tra via Brera e Melone si staglia un omino nero stilizzato  che sorregge una barra bianca orizzontale. Un’opera che richiama l’idea del lavoro, inteso come routine.

Tra Corso Garibaldi e via Solera Mantegazza, Clet sul cartello di strada senza uscita ha inscenato una crocifissione urbana. Ha cioè attaccato sulla T del cartello un omino.  Per inscenare l’idea dell’uomo contemporaneo ucciso dalla dimensione alienante dell’urbanesimo, dallo smog e dal rumore del traffico.

Nei pressi di via Torino, e più precisamente in via Falcone, Clet riprende la scena dell’uomo schiavo del lavoro, mentre  all’angolo tra Corso di Porta Romana e Via Maddalena, lavora su un’allusione alla quotidianità del cibo, degli sprechi e della sostenibilità del cibo. Perché se da una parte l’omino, simile a  uno scheletro, usa la barra bianca come tavola brandendo forchetta e coltello, dall’altra sembra alludere alla fame nel mondo.

Tra via Tortona e Bugatti, sul cartello di divieto d’accesso, l’omino rischia di affogare dentro la barra rappresentata come uno specchio d’acqua. La figura potrebbe rappresentare la cultura che rischia di affogare nel mare dell’ignoranza senza l’aiuto dell’arte che dovrebbe contribuire a ridargli vita.

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