Il primo ricordo della mia infanzia è mio nonno. In un letto d’ospedale. Il mio rapporto con la morte è iniziato presto, a tre anni. Perché di li a poco, da quel giorno e dal ricordo sbiadito di una camera d’ospedale affacciata sullo stadio, mio nonno è morto. Ricordo anche le fughe da casa, con i miei pigiami colorati di rosa e giallo a rincorrere mia madre, che a due passi dall’ospedale andava a fare visita al nonno. E io impaziente di dirle qualcosa, la seguivo per strada. Per poi perderla. Credo sia successo due volte. E in entrambi i casi sono stata riportata a casa da una vicina di casa che ha suonato alla porta e ha detto alla nonna che ero uscita di casa.
Ma ricordo anche il momento in cui ho perso la nonna, paterna. Stavo asciugando i capelli. Che dire della morte della nonna materna. Avevo appena ricordato la canzone che mi cantava sempre da piccola. Oggi di quella canzone non ricordo più nulla. Neanche il motivo. Così come non ricordo alcuni momenti della morte di mia madre. Ricordo come ero vestita, gli stivali che indossavo che a un certo punto ho deciso di cambiare. Li sentivo troppo stretti. Al loro posto anfibi ancora più duri. Ricordo gli orecchini e le maglie che indossavo quel giorno, durante il funerale e il giorno dopo ancora. Eppure non ricordo il funerale. Ma ricordo il vuoto quando le zie e le cugine sono andate via. La stessa sensazione provata per zio Giuseppino.
I ricordi sono strani. Forse ha ragione mia zia quando dice che è meglio cancellarli, perché se sono belli riportano alla mente i momenti felici, e se sono brutti fanno ricordare il dolore e la sofferenza provati in un particolare momento della vita. Ma i ricordi aiutano a ripercorrere la propria vita, a riportare a galla elementi insignificanti che tuttavia fanno parte della propria esperienza. Bella o brutta che sia poco importa. Perché i ricordi sono lo strumento che ci fanno essere come siamo. E che ci ricordano come eravamo, come siamo cambiati e come siamo riusciti a superare i momenti difficili. I ricordi sono cicatrici. Dolorose. Sono marchi che se da una parte ricordano il dolore provato, dall’altro fanno ricordare come quel dolore soffocante è stato quasi cancellato. Eppure a volte la cicatrice si riapre leggermente. E fa male.
Fa male quando si provano sensazioni simili a quelle provate in passato, o quando ci ricordano che con la morte di una persona un pezzo di vita va via con lui. Sembra strano, ma quando viene a mancare una persona, questa porta via un pezzo di cuore. Il nostro. E lascia un vuoto. Incolmabile. Almeno questa è la sensazione.
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