Alla scoperta dei capanni da pesca delle valli di Comacchio

In Abruzzo sono i Trabocchi, ovvero quelle costruzioni in legno dotate di una piattaforma diretta sul mare e ancorata alla roccia grazie grossi tronchi. Sono palafitte sospese sul mare che, dotate di rete da pesca, sono diventate patrimonio dell’Unesco. O almeno il tratto di costa compreso tra San Vito e Fossacesia.

Questo piccolo esempio di architettura bucolica è presente anche in Emilia Romagna e in particolare nelle valli di Comacchio, dove il nome tipico abruzzese lascia il posto alla denominazione che indica il suo ruolo e la sua funzionalità: capanno da pesca. Così qui le antiche tecniche di pesca hanno finito per creare  un affascinante scenario per il panorama paesaggistico della zona, in cui i materiali poveri e l’ingegno si sono uniti per affermare la funzione di ricerca del cibo.

A pochi chilometri dal centro di Comacchio c’è un ambiente unico nel suo genere: il parco del Delta del Po che, con i suoi 11.000 ettari di superficie, ridotti progressivamente in seguito alle bonifiche,  richiama ogni anno decine di specie di uccelli e amanti della natura. L’area di acqua salmastra, dedicata alla pesca, in cui viene immessa acqua salata dal mare o dolce dal fiume, è stata dichiarata Zona umida d’importanza internazionale dalla Convenzione Ramsar, e dall’Unione Europea Sito di interesse comunitario e Zona di protezione speciale per la conservazione degli uccelli.

La tradizione parla di capanno da pesca che tuttavia si riferisce esclusivamente alla struttura architettonica, mentre nella cultura emiliana e ferrarese si parla di bilancione, e nella vicina Romagna il termine più usato è padellone. Entrambi i nomi si riferiscono all’attrezzo usato per pescare:  una rete quadrata ed un sistema a bilancia di sollevamento, che in un intervallo di tempo che va dai 2 ai 10 minuti si solleva dall’acqua verticalmente.

Questi luoghi identitari raccontano la storia del luogo e finiscono per tramandare di generazione in generazione la cultura dell’acqua e del mare. Nati per procacciare il cibo in un ambiente riparato, i capanni sono stati e continuano a essere un rifugio temporaneo in cui conservare attrezzature e avviare le prime fasi della lavorazione del pesce.

Secondo gli studiosi, i primi esempi di capanni da pesca risalgono al IV secolo, ma le prime tracce si trovano intorno all’Ottocento. E se in un primo momento la costruzione era funzionale alla pesca, durante la guerra è diventato un vero e proprio rifugio per i cittadini dell’intero territorio.

Sono diverse le tipologie di capanno da pesca documentate. Si parte dalla costruzione sulla terra ferma, al sistema a palafitta, per poi passare alla struttura semipalafitticola e al capanno chiatta. Senza tuttavia dimenticare la dirlindana, cioè il sistema di pesca a bilancia che ancora oggi, in particolare nelel Valli di Comacchio, viene montato su una piccola imbarcazione.

Inteso come luogo di socialità nel capanno lavorano a stretto contatto sei o sette persone e un capocapanno, il titolare della struttura. Ogni singola giornata, quindi, un sesto o un settimo della proprietà, è chiamata quota, che può essere ceduta con il diritto di prelazione dei soci rimanenti e viene trasmessa per eredità ai figli o agli eredi. Se avete inoltre intenzione di esplorare la zona e visitare l’intero territorio cliccate QUI.

3 pensieri su “Alla scoperta dei capanni da pesca delle valli di Comacchio

  1. Recentemente ho scritto anche io un articolo sui trabucchi – o trabocchi – ma non sapevo ne esistessero “esemplari” anche in Emilia, pensavo solo nel basso adriatico. Articolo interessante!

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